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Il Titanic

Una nave, un transatlantico. Questa è l’Italia.

E come una grossa nave è suddivisa in classi, ha molti ponti.
E i più ambiti sono quelli superiori.
Mano a mano che scendi, vedi le classi meno abbienti, vedi cabine sempre più spartane, vedi servizi sempre più dimessi, vedi la servitù.
Quando i nobili viaggiavano, loro si prendevano le cabine dei ponti più alti e la servitù, appunto, finiva sul fondo della nave, vicino alle stive, vicino ai motori.
Oggi abbiamo una nave con le stesse caratteristiche, ai piani alti la gente che conta, che governa, che tiene le redini del paese e nei ponti inferiori la gente del popolo che si barcamena, che litiga con i vicini, pronta a scannarsi, in caso di naufragio, per il posto su una delle pochissime scialuppe disponibili.

Oggi il transatlantico Italia naviga in cattive acque.
C’è un gorgo mostruoso che lo attira a sé.
Non abbiamo più neanche il carburante per i motori e così ci hanno chiesto di fare dei sacrifici, di metterci ai remi.

E noi lo abbiamo fatto.

Ma certo non immaginavamo che presto saremmo stati anche incatenati ai nostri posti, che presto saremmo stati anche cadenzati da un ritmo assordante di tamburi, che saremmo stati solo degli schiavi sacrificabili per la “loro” sopravvivenza.
Per la sopravvivenza di chi vive nei ponti superiori.
Lì non sentono fame, paura, freddo.
Per loro c’è luce, riscaldamento.
Per mandare i motori che producono energia elettrica per i ponti superiori il gasolio c’è.
Le loro dispense sono piene di ogni ben di Dio, i loro ristoranti lavorano a ritmo serrato per nutrirli al meglio.
E così loro possono continuare nella loro comoda vita, nei loro festini, nelle loro spartizioni.
E i comandanti si avvicendano, si cambiano di ruolo, si promuovono fra di loro.
E l’ufficiale istruttore rimane sempre Schettino.
Non vedono il gorgo, anzi neanche lo guardano, semplicemente perché non ne hanno paura, le scialuppe a loro disposizione son di numero addirittura esagerato, e poi i figli di mignotta si salvano sempre.

Noi siamo quì, con l’acqua alle caviglie, con il suono dei tamburi a cadenzare i nostri colpi di remi, a ricevere frustate se mostriamo stanchezza e cedimenti, ad essere gettati in mare e sostituiti nel momento in cui non serviamo più alla causa.
Quale causa? Ma la salvezza e il benessere di chi abita in alto, ovvio.

Bum, bumbum, bum.

Questo è il suono che accompagna la nostra vita.
Ogni tanto, anzi spesso, ci portano un piatto di minestra, non perché si preoccupano di noi, no, ma perché altrimenti non riusciremmo a remare.
Devono mantenerci in vita quanto basta per spillarci anche l’ultima goccia di sangue, l’ultimo sforzo, l’ultimo respiro.
E così ecco il contentino, ecco i sorrisi delle “signore” benvestite che ci portano i loro avanzi con l’aria di chi ha talmente tanta nobiltà d’animo da preoccuparsi di noi.
E quaggiù alcuni, tanti, forse troppi, ringraziano anche, sono felici della situazione, “poteva andare peggio”.
E c’è il buio, e c’è il freddo, e c’è l’umidita, e c’è l’odore acre di sudore, di sporcizia, di vomito, di urina, di escrementi, forse anche di corpi in decomposizione.

Bum, bumbum, bum.

Continuiamo a remare, di più, sempre di più.
Dei suoni provengono dall’alto, musica, canti, risate.
E noi siamo felici, siamo felici che loro si divertano, che si distraggano. Perché sono loro a occuparsi di noi.
Sono loro a prendersi cura della nostra sopravvivenza, è grazie a loro se noi esistiamo.

O forse è il contrario?

Ma non importa. Il gorgo si avvicina, sta per inghiottire la nave, la cadenza dei tamburi aumenta, un piccolo sforzo ancora, un piccolo sforzo e ne usciremo.
Questa nave è inaffondabile, i comandanti attenti e preparati.

Ma qualcuno si è accorto che sotto la vernice con la scritta Italia sulla fiancata, sotto c’è il vecchio nome della nave, si legge a malapena, si intravvedono delle lettere che formano la parola TITANIC.

E mentre risuona dall’alto “finchè la barca va tu non remare”, noi quaggiù invece remiamo. Dobbiamo remare.
Perché siamo i primi che affogheranno, perché non abbiamo vie di scampo, perché per noi non ci sono scialuppe.
O più semplicemente perché fanno molto male le frustate.

E allora: bum, bumbum, bum.

 

Giancarlo Paglia 

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