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Proviamo a resettare

Proviamo a resettare.

Proviamo a fermarci un’attimo a pensare.
Anche se non ho la presunzione che sia il mio scritto a promuovere una riflessione.

...

Fiore del Cielo, la macchina degli ultimi anni, è a Milano in rappresentanza della nostra tradizione
.
E’ un’obelisco, è una torre, è, in fin dei conti, un traliccio inanimato.
E poco conta se la location sia o no quella giusta e se poteva essere presentata in modo diverso.

Proviamo, per un’attimo, a immaginare cosa proveremmo noi a trovarci davanti a un Cero di Gubbio immobile in mezzo a una piazza.
O magari davanti a un Giglio di Nola, anch’esso perso in uno spiazzo nella sua immobilità.
Chissà, forse i nostri commenti non sarebbero lusinghieri, forse ci scapperebbe anche la battuta che di solito accompagna tutto ciò che si erge dritto davanti ai nostri occhi e che ricorda malignamente un simbolo fallico.

L’occhio del visitatore, in particolare quello frettoloso, quello non attento agli strumenti visivi o sonori che illustrano la nostra macchina, difficilmente potrà cogliere le stesse sensazioni che proviamo noi.

Difficile raccontare l’emozione che proviamo la sera del 3 Settembre.
Non possiamo raccontare “il trasporto” mettendo in mostra solamente quello che è poi l’oggetto trasportato.
Noi viviamo l’evento con trepidazione, con preparazione, assaporandolo con il preludio dato dal trasporto del cuore della Santa e dalla sfilata del corteo storico il 2 Settembre.

Il giorno dell’evento pensiamo già a dove cercheremo di vederlo da posizione magari migliore dell’anno precedente, molti già dal mattino presto, se non dalla sera precedente, si posizionano sul percorso per accaparrarsi i posti migliori.
E questa varia umanità, questa colorata e briosa folla, riempiendo le strade ci dà già l’immagine della festa. Comincia già a stringerci il cuore.
Poi c’è la sfilata dei facchini.
Sappiamo tutto di loro, o almeno sappiamo molto.
Sappiamo la fatica che li aspetta, sappiamo già quello che hanno affrontato per superare l’idoneità per essere lì quella sera.
Fra di loro abbiamo amici e parenti e fratelli e padri.

Trepidiamo in attesa del primo “sollevate e fermi”, dei primi passi, i primi inevitabili ondeggiamenti prima che la cadenza del passo prenda il suo corso regolare.
Le grida dei fedeli, lo stupore anche di chi “vede” solo la manifestazione fine a se stessa, le luci delle vie che si spengono poco prima dell’arrivo della macchina, la figura della Santa che sembra volare sopra i tetti di una città immobile al suo passaggio, una città ammutolita e commossa che celebra la sua Rosa.
Le soste, le nuove partenze, le girate, la salita finale, il grido quasi di liberazione e di fede dei facchini quando posano per l’ultima volta la macchina sui cavalletti, le grida gioiose dei presenti.
Tutti di un sentimento, fedeli e no.

Come possiamo raccontare tutto questo?
Come pensiamo che il visitatore da un traliccio inanimato possa comprendere tutto questo?
Forse neanche gli strumenti visivi sono sufficienti a farlo.
L’emozione palpabile, tangibile, che senti fra la folla ammassata a Viterbo quella sera, nessun filmato potrà mai restituirla al visitatore frettoloso di una fiera che di tutt’altri argomenti dovrebbe trattare.

Il giornalista che deve inviare il pezzo in redazione, scrive un commento a effetto, senza pensarci, senza domandarsi il senso di quello che ha davanti agli occhi. Magari non può neanche farlo. Se dovesse studiare la storia che potrebbe nascondersi dietro ogni singolo oggetto presentato dalle varie città, dalle varie nazioni, dai vari popoli, probabilmente non avrebbe tempo per scrivere nulla.
E lui è lì per la pagnotta, è lì per raccontare non per porsi domande.
Certo, c’è poi la giornalista che sputa veleno su un determinato padiglione e quello che contiene, solo per ripicca, solo per sfogare il suo malumore nei confronti di una determinata persona.
Pazienza.
Un mio vecchio professore diceva che non bastano un paio di occhiali per saper leggere, io aggiungo che non basta una penna per saper scrivere. E una tessera di giornalista per essere un premio Pulitzer.

Ma in fondo il punto non è questo.
Purtroppo la verità è che la macchina a Milano c’entra un po’ come i cavoli a merenda.
E a nulla serve ricordare al mondo che siamo stati benedetti dall’Unesco. Perché in fondo è “il trasporto” che è stato nominato patrimonio immateriale dell’umanità, non la macchina.

E noi non presentiamo a Milano “il trasporto”.

Ma sicuramente sapevamo prima che la macchina sarebbe potuta essere oggetto, quantomeno, di incomprensione.
Non immaginavamo certo di scherno, ma ormai è difficile tornare indietro.

Cerchiamo allora di sfruttare lo spazio assegnatoci, di sfruttare l’inevitabile richiamo della macchina per i turisti, per cercare di promuovere il nostro territorio e tutte le sue bellezze.
Per cercare di trasformare quella che potrebbe essere una sconfitta, in una vittoria per Viterbo tutta.
E non solo per la festa del tre Settembre.
Armi per attirare i turisti ne abbiamo a bizzeffe, sfruttiamole.

Di come poi li accoglieremo, ne parleremo e ne discuteremo al momento opportuno.
Sempre che ci sia gente disposta a discutere e ad ascoltare, dimenticando superbia, arroganza, superiorità, superficialità e personalismi.

Ma questa è un’altra storia.

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