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Storie e leggende della Tuscia: il Divino Tagete ed il fiore che toglie la tristezza

di Pirro Baglioni

Durante il lavoro nei campi, un contadino volta una zolla e ne emerge un fanciullo dalla saggezza soprannaturale: chiamato Tagete, rimane tra gli uomini giusto il tempo di insegnare l'arte della divinazione, interpretando i fulmini e le interiora degli animali. Così narrano Cicerone e Ovidio, e da questo essere rivelatorio, sorto dalle profondità della terra vicino all'antica Tarquinia, prende il nome l'omonima pianta.

I fiori di una varietà del tagete, il cempasúchil, vengono utilizzati in grandi quantità per le celebrazioni del Dia de Los Muertos in Messico: secondo la credenza popolare l'1 e il 2 novembre gli spiriti dei defunti vengono a trovare i loro cari, e le famiglie puliscono e addobbano le tombe, costruendo spettacolari altari fioriti e decorati. Con la stessa materia prima si produce una bevanda molto popolare, consumata anche per fini rituali. Ritroviamo il tagete protagonista anche nelle feste e nei matrimoni in India, in Nepal e in Thailandia, per cui in diverse aree è possibile vedere sconfinati appezzamenti di terreno, dal caratteristico colore giallo-aranciato. In Ucraina il fiore è considerato un simbolo nazionale.

CHI ERA TAGETE

Un giorno un contadino che arava un campo nei pressi del fiume Marta, in quei di Tarquinia, vide una zolla sollevarsi dal solco e assumere le sembianze di un fanciullo. Lo chiamò Tagete. Il fanciullo era dotato di grande saggezza e di virtù profetiche (per cui talvolta viene raffigurato con i capelli bianchi). Visse soltanto il tempo necessario per insegnare agli Etruschi, accorsi sul luogo dove era nato, l'arte di predire il futuro, scomparendo poche ore dopo la sua miracolosa apparizione. Le norme da lui dettate furono trascritte e raggruppate su tre serie di libri sacri: gli Aruspicini, i Fulgurali e i Rituali. Questi ultimi comprendevano anche i Libri Acherontici che costituirono le fonti ufficiali e misero in luce i due punti essenziali della religione etrusca: l'importanza della divinazione che permetteva di interpretare la volontà degli dei e la necessità di istituire un preciso rituale per ogni circostanza della vita sia pubblica che privata. A ciò erano preposti i sacerdoti, una casta privilegiata che si trasmetteva la carica di padre in figlio

Il tutto ci viene raccontato da Cicerone (Cic. de Div. 2.23), e pure da poeti, tra i quali Ovidio (Ov. M. 15, 558).

I libri scritti da Tagete probabilmente furono letti dallo scrittore greco del secolo V Giovanni Lido, il quale nel suo De Ostentis (I, 3) ci descrive brevemente l'argomento e le caratteristiche stilistiche dell'opera. Per esempio, ci dice che fu scritta a modo di dialogo tra Tarconte, un aruspice da non confondere col Tarconte dei tempi di Enea, e Tagete, domandando l'uno τῇ τῶν Ἰταλῶν ταύτῃ τῇ συνήθει φωνῇ, e rispondendo l'altro γράμμασιν ἀρχαίοις καὶ οὐ σφόδρα γνωρίμοις ἡμῖν.

In quanto all'etimologia del nome, secondo l'etruscologo Massimo Pallottino, basato su uno specchio etrusco conservato al Museo archeologico di Firenze, dove viene rappresentato un giovane aruspice osservando un fegato assieme ad altri personaggi, con la scritta pavatarchies (il bimbo Tarchies?), il nome latinizzato di "Tages" corrisponderebbe ad un Tarχies etrusco.

Da vedere: Nella Sala degli Affreschi del Comune di Tarquinia, sopra la porta d'accesso dalle scale è raffigurato Tagete in un affresco Rinascimentale,Nella Sala ci sono parecchi affreschi raffiguranti il Magistrato Cornetano, il Sediario, la Scultura Equestre, Tagete e il Vescovo Vitelleschi ma anche l'arrrivo delle truppe dell'Imperatore Federico II a Tarquinia via mare , un guerriero dell'Imperatore è raffigurato nudo mentre sta per trafiggere a fil di spada alcuni cittadini Tarquiniesi col volto terrorizzato.

In realtà quando arrivarono le truppe dell'Imperatore i Tarquiniesi si chiusero dentro le mura, 22 Tarquiniesi di ritorno da un pellegrinaggio a Marta, furono catturati dai militari dell'Imperatore e impiccati sommariamente davanti alle mura di Tarquinia, Federico II continuò per Blera che rase al suolo (rimase solo come oggi Porta Martina e Tuscania che fu incendiata e saccheggiata. Arrivati a Viterbo, persa dalle truppe Imperiali l'Imperatore la riconquistò senza spargimento di sangue ma i viterbesi dovettero pagare importanti tributi e sottomettersi e gli Imperiali ripresero il famoso Palatium all'interno delle mura di cui oggi rimangono le rovine e parte delle mura interne che delimitano i confini del Monastero di Santa Rosa

nelle immagini: 1) Fiore Tagete 2-3) Gli affreschi nel Comune di Tarquinia, il fanciullo raffigurato è Tagete immaginato dai Tarquiniesi nel Rinascimento 4) dove era il Palatium di Federico II a Viterbo (fonte Guido da Monfort) , con la sua estensione di oltre 5,000 metri quadrati da Porta della verità (oggi scuola Alighieri) fino al Monastero di Santa Rosa , una fortezza nella fortezza.

  

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